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Psicheanima
Psicheanima
  05/05/2011 - admin

Il Sé e la Persona: questioni di identità

 

L'opposto del processo individuativo, che dovrebbe culminare nel raggiungimento del , è descritto come il restringersi, fino alla cristallizzazione, dell'espressività inconscia. Questo conduce al fissarsi in maniera rigida di quella che viene definita: Persona; intesa da Jung quale funzione di adattamento cosciente alle esigenze imposte dalla realtà e dalla società all'individuo.

Ognuno di noi dispone di una Persona sociale, che può essere metaforicamente intesa come la maschera di cui ci serviamo per affrontare le situazioni reali della vita. Quanto più flessibile è la maschera che indossiamo, tanto più il nostro grado di adattamento all'ambiente è maggiore. Il restare imprigionati nella stretta morsa di un'identità fasulla, perché solo parziale, che Winnicott chiama Falso sé, ci priva del contatto con gli altri esseri umani e ci emargina verso una posizione difensiva nevrotica. L'uomo si pone infatti, per J.Hillmann, come "attore" sulla scena della vita, recitando i vari ruoli imposti dal sociale: Genitore, Amante, Amico, Direttore, Figlio, Coniuge, ecc...; se accade che la Persona si identifica con tutto il nostro Io, si approssima la perdita della capacità di simbolizzare e della natura plastica della nostra dimensione vitale.

La tensione del processo d'individuazione è dunque tra gli opposti polari Sé e Persona.


     
Alessandro Raggi
Alessandro Raggi
  05/05/2011 - admin

La via dell'individuazione: passaggio per l'Ombra

 

La via dell'autoconoscenza non necessariamente deve passare attraverso l'analisi. Noi conosciamo e applichiamo questo metodo, ma la storia di ogni cultura ne tramanda innumerevoli e diversi.

Da Virgilio a Dante la discesa nell'oscurità infera precorre necessariamente la visione della luce.

Jung notò come il procedere dell'analisi fosse scandito da una serie di tappe, le quali si presentavano in una successione simile ai procedimenti alchemici. In analisi questa successione non ha comunemente un percorso lineare, bensì circolare.

La cultura alchemica si sviluppò dalla tarda antichità in India e in Cina, in occidente ebbe il suo culmine nel medio evo.

Gli alchimisti ricercavano la conoscenza del mondo, di Dio e della spiritualità attraverso la natura, divennero esperti conoscitori delle proprietà dei metalli e degli aspetti taumaturgici e curativi delle erbe.

Si compievano esperimenti, materialmente, all'interno di officine e laboratori. Mentre la chimica moderna opera sulla materia, scindendola dal suo aspetto spirituale, l'opera alchemica era principalmente interessata a recuperare elementi spirituali connessi alla materia: "Passione", "Unione", "Morte", all'interno delle trasformazioni subite dalla materia, erano le variabili spirituali ricercate dagli alchimisti.

Nella visione junghiana il processo trasformativo (e liberativo) dell'uomo è inscritto in un percorso denominato "Individuazione". Il culmine di questo processo è nella riconciliazione tra istanze inconsce ed opposte, affinché trovino una rinnovata elaborazione, portando al riconoscimento del "Sé" : l'elemento centrale ed unificatore della coscienza.

L'opera alchemica poteva dirsi compiuta nella trasformazione della materia grezza (piombo) in metallo nobile (oro): la pietra filosofale. Primo passaggio obbligato di ogni processo trasformativo alchemico, è il verificarsi della "Nigredo": la riduzione della materia allo stato di morte e putrefazione, preludio ai successivi passaggi trasformativi.

E' su queste similitudini che Jung considerò quale prima ed essenziale tappa dell'analisi il confronto con l'Ombra.

Ci limitiamo in questa nostra breve riflessione a discutere dell'Ombra individuale e collettiva, altri piani di speculazione, che affronteremo in seguito, ci porteranno a osservare come si possano reperire, su questo argomento, elementi di riflessione di natura ontologica ed archetipica.

Così, la Nigredo, l'Ombra, è premessa necessaria per il reperimento di nuove mete materiali e spirituali. Gli alchimisti dovevano confrontarsi con la Nigredo per ottenere la pietra filosofale, l'uomo è parallelamente tenuto al confronto e dall'integrazione dell'Ombra: ecco apparire l'Ombra individuale quale istanza portatrice, in potenza, delle virtù piene ed unificate contenute nel Sé.


     
Il Complesso di Era
Il Complesso di Era
  28/03/2011 - admin

(la donna e il dramma dell'abbandono)

 

Il tradimento e l'abbandono sono tra gli eventi più aggressivi che possano sconvolgere la nostra psiche, fonte di stress e causa di reazioni depressive e stati ansiosi.

Agli psicoterapeuti arrivano numerose richieste di aiuto da parte di pazienti, che vivono il trauma del tradimento all'interno di una relazione.  Soprattutto ultimamente, sono sempre più numerose le donne  di mezza età  che si vedono " abbandonate" dai loro compagni storici per donne più giovani, come se il complesso di Peter Pan abbia sconvolto la nostra epoca narcisistica. Ma si tratta effettivamente di questo?

Costruire una relazione, è un'arte e un lavoro, che richiede molto impegno. In nome di questo impegno spesso, si rinuncia a importanti parti di sé. Per adattarsi alla vita del Noi, l'Io deve necessariamente abdicare al suo primato.

Che cosa accade invece, se rinunciamo a una porzione troppo grande di noi stessi in nome della stabilità che dovrebbe garantirci la relazione?

E soprattutto, cosa accade quando la tanta agognata stabilità c'è sottratta?

La nostra stessa identità viene minacciata, ci sentiamo separati da noi stessi, come l'androgino primordiale, abbiamo perso non solo la nostra metà, ma il substrato che costituiva il nostro esserci nel mondo. Per questo le reazioni, dopo la rabbia, sono comunemente legate all'ansia, la depersonalizzazione, il panico e la depressione.

Ma il nemico è sempre interno.

Evoluzione è il nome di un processo lungo quanto la vita. Evoluzione e cambiamento sono due concetti che non dobbiamo mai dimenticare nel corso di una relazione affettiva.

Coniuge, ha un etimo interessante: è colui con il quale condividiamo il giogo. Costruire una stabilità prevede necessariamente delle rinunce, delle sottrazioni: un sacrificio.

Sacrificio, da "sacrum facere" è la parola che descrive come unirsi all'altro nella condivisione di un progetto, diventare di più di noi stessi, trascenderci nell'ulteriore, è indubbiamente un processo sacro.

In questo processo che ci porta a picchi di piacere e gioia nel sentirci uniti, il tradimento arriva come una ferita, l'abbandono come la sconcertante evidenza di rimanere intimamente soli, dinanzi alla vita.

 

Era, Giunone per i Romani, la dea del matrimonio, rappresentava l'incarnazione del focolare domestico. Per questa divinità femminile, lo status di moglie, compagna e paladina dell'unione, era tutto ciò che contava.

Continuamente alle prese con i tradimenti di Zeus, Era scalpitava, si vendicava, uccideva, puniva, posseduta dall'ira "funesta" nei confronti delle rivali, ree di aver intaccato la sua stabilità interiore, data unicamente dal suo status.

Quanta energia si spreca reagendo nel nome di Era? Quanta energia psichica s'investe nel voler preservare uno status quo mediocre e inficiante, per il terrore di guardare in faccia un cambiamento?

Il traditore è sempre il reietto, ma infondo assume su di sé il coraggio di denunciare un malessere. In molti casi, le donne possedute dal complesso di Era, nascondono la testa sotto la sabbia, sottovalutano gli indizi, negano a se stesse il lento logorio del rapporto, le distanze, i silenzi. Dicendosi che finché un uomo è in casa, finché non ci lascia, tutto va bene.

In realtà però nulla va bene, quando il "giogo" non è più condiviso, il progetto comune svanisce, quando l'ideale che ci sosteneva s'infrange nella realtà del cambiamento.

 

E' comune che a una tonalità affettiva tipica e ricorrente, che abbiamo denominato complesso di Era, si associno emozioni, sensazioni, e più in generale uno sfondo emotivo sul quale osserviamo manifestazioni dotate di una propria caratteristica singolare. La donna-Era, può assumere aspetti e modi comportamentali distinti, eppure alcuni tratti peculiari la contraddistinguono sempre: la profonda gelosia, più o meno manifesta, ma sempre radicata e potente; uno stile di relazione con il coniuge fondato su un amore dove l'erotismo è spesso in secondo piano; una cocente rabbia, indirizzata talora verso il marito, altre volte verso il padre o il sesso maschile in generale, verso le "donne" erotiche e lascive, a volte verso l'intero genere umano.

Ricordiamo anche, che Era, oltre che moglie di Zeus, ne era anche sorella. La donna-Era interpreta, infatti, il proprio ruolo coniugale con una passione erotica povera a confronto dello zelo con cui curano gli aspetti più istituzionali della scelta di coppia: la casa, il matrimonio, i figli. L'erotismo è dunque soppiantato da regole relazionali maggiormente proprie di altre relazioni: fratello/sorella, madre/figlio. Il matrimonio, e la sua tutela, sono dunque il centro delle attenzioni di questa donna, che non considera la coppia essenziale ai fini del saldo mantenimento dell'istituzione matrimoniale stessa. In questa psicologia, la coppia è funzionale al focolare, non ne è il presupposto basilare. Se è evoluta, la donna-Era è attiva sessualmente, ma lo fa' perché è necessario, per accontentare il compagno.

Non è infrequente il costellarsi di sintomatologie ossessive dietro queste manifestazioni archetipiche: l'ordine, la pulizia, il rigore educativo e morale, possono in taluni casi rappresentare il centro della domanda di aiuto che queste pazienti rivolgono allo specialista. Quando l'uomo-Zeus le tradisce, allora sovente anche manifestazioni depressive si associano a queste strutture di personalità caratterizzate da tratti ossessivi. Eppure in questa donna non è raro trovare impulsi al tradimento, alla fuga extraconiugale, soprattutto quando incontrano uomini che le sappiano far sentire apprezzate e valorizzate in quanto donne. Esse non sono, infatti, inclini al tradimento per puro appagamento sessuale. Tradiscono per vendetta nei confronti del marito, per avere la prova di essere ancora desiderate e desiderabili, per un piacere più intimo e meno fisico.

 

Il modello maschile prevalente, in questa dinamica, sembra dunque, più quello di Zeus/Giove piuttosto che Peter Pan. Il Peter Pan appartiene a psicologie radicate nei miti dell'adolescenza e dell'infanzia, è un uomo non "adulto", che fugge le sue responsabilità, si lancia in sfide grandiose, rincorre l'oggi, che gli sfugge sempre. Ha un rapporto con la donna e con la sessualità superficiale, impulsivo, incontrollato. Una donna/Era può incontrare certamente dei Peter Pan, ma è altrettanto comune, rileggendo la mitopsicologia di Jean Shinoda Bolen, che le si affianchino degli uomini/Zeus: adulti e dotati di un proprio senso di responsabilità, per i quali il tradimento è un'affermazione egoica del loro potere e della loro superiorità, che difficilmente però rinuncerebbero alla loro dimensione coniugale. 

 

Crisi, krìsis in greco, vuol dire momento di passaggio, scelta, ed ha la sua radice nel verbo Krìnò, separare e decidere, era dunque una parola che richiamava a una transizione da un momento noto a un altro, ancora ignoto.

Spesso si parla di crisi di coppia come opportunità, e a bene vedere.

Una crisi ci permette di non scappare, se decidiamo di affrontarla con il coraggio di vedere davvero cosa sta accadendo.

Molte volte, le parti di noi cui avevamo rinunciato per la relazione, ritornano dai nostri abissi e ci bussano alla porta. Alcune persone vivono questo come un'emergenza istintuale e non riescono a razionalizzare un impulso: quindi credono ingenuamente che un tradimento, una pelle più giovane o diversa, possa essere la guarigione, la panacea di un malessere.

Spesso, non si riesce a compiere il grande passo del cambiamento assieme e un rapporto naufraga. Ma con esso non naufraghiamo noi se prendendo in mano le redini del nostro essere più profondo, prendiamo coscienza di quante cose ancora straordinarie possiamo fare nella nostra vita.

Il sociologo Baumann chiama il nostro mondo "liquido". Nel mondo liquido tutto è precario, tutto fluisce, cambia e scorre, lasciandoci talvolta spiazzati.

Non c'è una ricetta che ci preservi dal male, ma se tutto cambia e scorre, se la precarietà è condizione ontologica dell'umano, una cosa resta e su questo possiamo fare conto: il nostro nucleo.

Spesso lo bistrattiamo, lo barattiamo in nome della sicurezza e della stabilità, scordandoci che amandolo invece, esso può diventare la nostra corazza più invincibile, la roccia cui aggrapparsi, l'oasi preziosa cui rinfrescarsi .

La riscoperta di questo nucleo nutriente che abbiamo dentro di noi, prevede un percorso, prevede sofferenza, prevede tante cadute, ma ci ricorda che la prima vera relazione che abbiamo il compito di preservare è quella con noi stessi.

Questo ci permetterà di aprirci a nuovi incontri e di vivere indipendenti e forti nel Noi.


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